L'epatite C è una malattia infettiva causata da un Hepacavirus (HCV), appartenente alla famiglia dei Flaviviridae. Si tratta di un virus a RNA di circa 30-60 nm di diametro di cui sono stati identificati sei genotipi diversi e più di 90 sottotipi.
L'epatite C è una malattia diffusa in tutto il mondo. Nel 2009 in Europa l'incidenza della malattia era di 8,19 casi per 100.000, la fascia di età maggiormente colpita compresa tra i 25 e 44 anni (circa il 50% dei casi) e il sesso prevalentemente maschile con rapporto maschi:femmine 1,9:1.
In Italia gli ultimi dati risalgono al 2007 e riportano 0,52 casi per 100.000 abitanti.
La grande variabilità dei dati tra i vari stati è dovuta ad un sistema di sorveglianza ancora carente e alla scarsa standardizzazione dei metodi diagnostici.
Il virus HCV si trasmette con modalità simili all'HBV (epatite B) per contatto con sangue infetto, con trasmissione di tipo parenterale sia apparente che inapparente e per via verticale da madre a figlio (meno del 5% casi).
Prima dell'identificazione del virus e dei relativi controlli (introdotti nel 1990) la modalità di trasmissione più frequente era quella legata all'utilizzo sangue ed emoderivati (trasfusioni).
Attualmente la via più frequente di contagio sembra essere quella legata all'uso di droghe iniettabili, tramite scambio di siringhe infette, pratica ovviamente da evitare.
La trasmissione per via sessuale, per quanto possibile, sembra essere piuttosto rara, almeno rispetto all'epatite B.
L'incubazione del virus varia tra le due settimane e i sei mesi.
Rispetto alle altre forme di epatite, l'epatite C decorre più frequentemente asintomatica e senza ittero (circa 2/3 dei casi).
Negli altri casi la sintomatologia è simile a quella delle altre epatiti virali, con esordio subdolo, sintomi aspecifici quali debolezza, febbre, perdita di appetito, nausea, dolore muscolare, dolore addominale ed eventualmente ittero.
Caratteristica peculiare del virus HCV è di indurre in un'alta percentuale di casi (75-85%) un'infezione cronica; il 60-70% dei pazienti con infezione cronica sviluppa una epatite cronica che, nel 5-20% dei casi evolve in cirrosi epatica e carcinoma epatico.
In alcuni casi la malattia decorre senza elevazione degli enzimi epatici (transaminasi persistentemente normali) e con danno epatico assente o lieve e scarsamente evolutivo, anche se non è corretto definirli portatori sani.
Si ritiene che il 25% di casi di cancro al fegato possa essere causato dal virus HCV. Nel complesso la mortalità per cancro o cirrosi epatici dovuti all'infezione da HCV sarebbe dell'1-5%.
La diagnosi si pone in base al quadro clinico, al riscontro biochimico di danno epatico (elevazione degli enzimi epatici), e alla ricerca degli anticorpi anti-HCV.
L'infezione provoca la formazione di anticorpi sia contro la proteine del core (antigeni strutturali) che contro antigeni che compaiono durante la replicazione virale (antigeni non strutturali). Gli anticorpi contro gli antigeni strutturali compaiono precocemente durante l'infezione acuta, quelli non strutturali compaiono più tardivamente, anche dopo mesi, con tempistica non prevedibile.
La normale ricerca degli anticorpi anti-HCV non è in grado di distinguere tra una infezione acuta o pregressa e uno stato di portatore cronico. Tecniche più raffinate, quali il RIBA (radio immunoblot assay) e la ricerca dell'RNA virale possono aiutare a definire meglio la diagnosi. In particolare la ricerca dell' HCV-RNA consente di definire la guarigione dalla malattia, in caso di scomparsa, o l'evoluzione in infezione cronica in caso di persistenza per più di sei mesi dalla diagnosi.
Le misure preventive sono le stesse dell'epatite B. In particolare il controllo serrato degli emoderivati (trasfusioni), attivo dal 1990, usare materiale sanitario monouso (siringhe, ecc.), evitare lo scambio si siringhe tra i tossicodipendenti, avere rapporti sessuali protetti, evitare trattamenti come tatuaggi o piercing in attività che non rispettano le norme sanitarie vigenti.
Attualmente non esiste ancora un vaccino contro l'HCV.
La terapia, a base di interferone e antivirali, può variare a seconda dei diversi genotipi di virus, non è sempre necessaria o attuabile, e va valutata caso per caso in base alle condizioni cliniche del malato.
È stato recentemente approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) il sofosbuvir un nuovo farmaco contro l'epatite C. Le aspettative degli specialisti del settore su questo farmaco sono notevoli, perchè avrebbe una notevole efficacia nell'eradicazione del virus e perchè potrebbe eliminare la necessità dell'uso dell'interferone, passando ad una terapia solo orale, con minori effetti collaterali.
L'efficacia del farmaco è stata testata con 6 trial clinici comprendenti 1947 pazienti, associando il sofosbuvir con la ribavirina (un altro antivirale) nei pazienti con virus con genotipo 2 e 3 e sofosbuvir con interferone in pazienti con genotipo 1, 4 ,5 o 6.
Dopo 12 settimane di terapia si è ottenuta l'eradicazione del virus nel 89-95% dei casi con genotipo 2 e nel 61-63% dei casi con genotipo 3. Nel genotipo di tipo 1 (peraltro il più comune), 89% di eradicazione in associazione con interferone.
L'efficacia dunque sembra molto elevata e si potrebbero aprire valide prospettive di cura nei pazienti affetti da questa malattia.
Dott. Andrea Merello
Medico Chirurgo - spec. in Igiene e Medicina Preventiva
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