Alimentazione in gravidanza

La gravidanza rappresenta uno dei momenti di maggior trasformazione nel corso nella vita di una donna, sia a livello fisico sia emozionale. Lo sviluppo di un nuovo essere vivente comporta innegabilmente profonde modifiche sull'organismo, cambiamenti che si riflettono in modo deciso su molti aspetti metabolici e ormonali.

Aumento di peso

Uno degli aspetti più rilevanti è l'inevitabile aumento del peso corporeo. Esso, nel corso delle circa quaranta settimane, può variare dai 7 ai 18 chilogrammi e comprende non soltanto il peso del feto e dei suoi annessi (liquido amniotico e placenta), ma anche quello in espansione dei tessuti materni (tessuto adiposo, utero, seno, sangue, acqua intra ed extracellulare).

AlimentazioneSe da un lato tale "ingrossamento" può essere fonte di preoccupazione dal punto di vista fondamentalmente estetico, andrebbero fatte alcune considerazioni di maggior rilevanza.

La dieta della donna, adesso, dovrà coprire non soltanto i suoi bisogni energetici e nutritivi, ma anche quelli necessari per garantire lo sviluppo del nuovo organismo senza dimenticare di salvaguardare le riserve materne. D'altra parte, non bisogna esagerare poiché un aumento di peso eccessivo potrebbe determinare conseguenze anche gravi come il distacco della placenta pretermine e un parto prematuro.

Ancora, un incremento del peso corporeo controllato si è rivelato particolarmente importante per la salute della madre, anche a lungo termine. Come ha dimostrato uno studio condotto dall'Università di Bristol [1], esiste una forte correlazione tra aumento eccessivo del peso corporeo (in questo caso rispetto a quello auspicato dall'Istituto di Medicina britannico) e il rischio di sviluppare la sindrome metabolica nei sedici anni successivi alla gestazione.

Da ciò nasce l'esigenza di monitorare l'aumento di peso nel corso dell'intera durata della gravidanza, con il sussidio del proprio ginecologo, in base allo stato nutrizionale di partenza.

In Italia, importante riferimento è fornito dalle raccomandazioni LARN (livelli di assunzione giornalieri raccomandati di energia e nutrienti per la popolazione italiana) e consultabili con le linee guida messe a punto dall'INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e Nutrizione).

Indice di massa corporea
IMC (kg/m2)
Aumento di peso totale Aumento di peso settimanale (media)
per il secondo e terzo trimestre
Sottopeso < 18.5 12,5 - 18 kg 0,51 kg
Normopeso > 18.5 (<25) 11,5 - 16 kg 0,42 kg
Sovrappeso >25 (<30) 7 - 11,5 kg 0,28 kg

In condizione normopeso, indice di massa corporea (IMC) prima della gravidanza compreso tra 18,5 e 25, occorrerà assicurarsi che il guadagno di peso sia compreso tra gli 11,5 e i 16 chilogrammi. Diverso discorso va fatto in caso di sovrappeso o sottopeso: nel primo caso, l'aumento auspicabile non dovrà superare gli 11,5 chilogrammi, nel secondo il limite minimo sarà un incremento complessivo di 12,5 chilogrammi e quello massimo di 18.

La tabella sopra riportata indica anche l'integrazione apportata dalle nuove linee guida (2011), per una gravidanza fisiologica, messe a punto dal Sistema nazionale per le Linee Guida-Istituto Superiore di Sanità (SNLG-ISS).

Secondo le indicazioni riportate, l'aumento di peso dovrà essere diverso in funzione del trimestre considerato: l'intervallo per il primo trimestre è di 0,5-2 kg complessivi che corrispondono ad un massimo di 170 g a settimana e perciò trascurabili, mentre per il secondo e terzo trimestre (condizione di sottopeso e normopeso) si aggira intorno ai 500 g a settimana.

Risulta, per questo motivo, fondamentale misurare l'IMC al primo appuntamento dal proprio ginecologo e pianificare un controllo periodico, senza dimenticare però che un monitoraggio ripetuto a ogni appuntamento può generare uno stato ansioso tutt'altro che benefico.

Quanto bisogna mangiare in gravidanza?

L'aumento di peso durante la gravidanza è conseguenza di un aumentato fabbisogno energetico giornaliero; a tal proposito, la stima del fabbisogno supplementare complessivo da seguire è ancora oggi quella desunta dalla FAO/WHO (Food and Agricolture Organization / World Health Organization) nel 1973.

Secondo questa stima, per una donna normopeso sarebbero necessarie 80.000 kcal in più dall'inizio al termine della gravidanza e queste chilocalorie comprendono le necessità energetiche date da un aumento del metabolismo basale, delle riserve di grasso, dei sopra citati tessuti materni e solo per il 10% dalla crescita del feto.

Indice di massa corporea
IMC (kg/m2)
Aumento di peso
auspicabile
Fabbisogno
energetico
supplementare
complessivo
dopo il
primo mese
di gravidanza
Fabbisogno
energetico
supplementare
giornaliero
dopo il
primo mese
di gravidanza
Assunzione energetica
supplementare
giornaliera
dopo il
primo mese
di gravidanza
(in caso di riduzione
dell'attività fisica)

Sottopeso (< 18.5)

12,5 - 18 kg 90.800 kcal 365 kcal 365 kcal
Normopeso > 18.5 (<25) 11,5 - 16 kg 74.100 kcal 300 kcal 150 kcal
Sovrappeso >25 (<30) 7 - 11,5 kg 49.000 kcal 200 kcal 100 kcal

Il fabbisogno energetico supplementare complessivo (terza colonna) per l'intera durata della gravidanza a partire dal primo mese (248 giorni) è stato calcolato sommando le spese energetiche stimate per l'accrescimento del feto e dei suoi annessi, la formazione di tessuti grassi e non, ma soprattutto per l'aumento del metabolismo basale della gestante.

La quarta colonna dà invece il fabbisogno energetico supplementare giornaliero, per tutti e tre i trimestri escludendo il primo mese; per esempio per la situazione normopeso, esso corrisponde a 74.100 / 248 = 298 kcal/giorno, approssimabile a 300 kcal.

L'ultima colonna infine rappresenta solo un'indicazione pratica e quindi non matematica del supplemento energetico in caso di una maggiore sedentarietà , quindi con un LAF (livello di attività fisica) inferiore a quello pre-gravidanza. Per il normopeso e sovrappeso le chilocalorie supplementari consigliate sono state dimezzate in caso di riduzione dell'attività fisica, mentre per il sottopeso si è preferito lasciarle invariate.

Il fabbisogno calorico addizionale giornaliero raccomandato, dopo il primo mese di età gestazionale, è di 300 kcal (l'equivalente di 100 g di pane toscano), ma questo dato riguarda una condizione in cui il livello di attività fisica resti invariato, mentre se la gravidanza è accompagnata da una maggiore sedentarietà , dovranno essere introdotte soltanto 150 kcal in più al giorno (l'equivalente di un budino al creme caramel).

Per una persona normopeso, come si noterà, si tratta di un'implementazione quasi trascurabile, mentre la necessità di seguire il proprio introito calorico rimane indispensabile per i soggetti sottopeso e per quelli sovrappeso che dovranno, oltre che monitorare l'aumento ponderale, consultare le tabelle di composizione degli alimenti per poter avere un'idea chiara riguardo il proprio regime alimentare, possibilmente con il sussidio di uno specialista.

Quadro ormonale e diabete gestazionale

Calorie a parte, andrebbe ricordato il complesso cambiamento del quadro ormonale: sin dai primi giorni si assiste alla produzione di gonadotropina corionica seguita da quella di lattogeno placentare (HPL, Human Placental Lattogen), cortisolo, progesterone, prolattina ed estrogeni. L'HPL compare a partire dalla 6a settimana, quando i valori risultano intorno a 0,5 microgrammi per ml di sangue, per raggiungere il valore massimo di circa 10 microgrammi in corrispondenza della 38a settimana.

Quest'ormone, prodotto a livello della placenta, è da considerarsi indice dell'integrità di quest'ultima e di conseguenza della salute del feto. Tuttavia, essendo antagonista dell'insulina, se da una parte predispone l'utilizzo del glucosio per il piccolo organismo, dall'altra induce nella madre una condizione di resistenza all'insulina che può evolvere in diabete mellito gestazionale (Gestational Diabetes Mellitus, GMD), forma di diabete che presenta gli stessi difetti funzionali del diabete mellito di tipo 2 (DMT2).

Quest'aspetto è assolutamente da non sottovalutare. L'iperglicemia materna a sua volta si può tradurre in iperglicemia fetale che può essere motivo di peso eccessivo del bambino (macrosomia neonatale) e di complicazioni al momento del parto (frattura e paralisi degli arti superiori). Nei casi più gravi può provocare insufficienze respiratorie neonatali, dovute ad incompleta formazione dei polmoni, e cardiache, provocate da anomalie a carico del miocardio.

Per quanto riguarda la madre, il diabete durante la gestazione è generalmente una condizione che si normalizza dopo il parto. Qualora ciò non avvenga, le conseguenze possono essere:

Per monitorare la gravidanza da questo punto di vista bisogna far riferimento alla procedura raccomandata (aggiornata al luglio 2011), che segue i criteri della WHO, da parte della Società Italiana di Diabetologia (SID).

Sostanzialmente si tratta di:

  1. Determinare la glicemia plasmatica ad inizio gravidanza per identificare i casi di diabete preesistente alla gravidanza.
  2. Eseguire, più o meno precocemente a seconda del livello di rischio evidenziato con la prima visita, un test orale di tolleranza al glucosio (OGTT).

Il fabbisogno energetico delle donne diabetiche in gravidanza, con IMC prima della gravidanza normale o inferiore alla norma, non dovrà essere modificato rispetto a quello precedente la gestazione, ma bisognerà fare attenzione alla ripartizione calorica.

Nel corso del "Workshop Conference" sul tema del GDM del 2005 è stata stabilita la ripartizione calorica ideale nei casi di gravidanza complicata dal diabete:

con un'assunzione raccomandata di fibre di 28 grammi al giorno.

La percentuale pari al 45% stabilita per i carboidrati, necessariamente a basso indice glicemico, è quella risultata ideale per soddisfare il metabolismo cerebrale del feto, ridurre la glicemia postprandiale (cioè la glicemia dopo i pasti) e per limitare la percentuale dei grassi. La presenza di fibre inoltre contribuisce a controllare la risposta glicemica.

Si raccomanda inoltre di suddividere le calorie giornaliere in tre pasti (colazione, pranzo e cena) e 2-3 spuntini, in modo da limitare le fluttuazioni della glicemia, e di pianificare una moderata attività fisica sotto la supervisione ginecologica.

Qualora tali adattamenti per ripristinare il controllo della glicemia non bastino, sarà necessario un vero e proprio piano terapeutico che prevede:

Per maggiori dettagli sulla diagnosi e sulla terapia da seguire in caso di GMD, suggeriamo di leggere l'articolo di approfondimento sul diabete gestazionale.

Carico glicemico

Uno studio del 2010 condotto dal "Children's Hospital" di Boston [2] ha dimostrato che una dieta caratterizzata da un basso carico glicemico possa significativamente ridurre il rischio di un parto prematuro ma anche determinare un miglior quadro lipidico e immunitario nella madre. È stato inoltre dimostrato che una dieta con alto carico glicemico totale determina un rischio raddoppiato di malformazioni inerenti il tubo neurale [3].

Per questi motivi, andrebbero preferiti alimenti con indice glicemico modesto (carboidrati complessi, verdura, frutta, cereali) a scapito di carboidrati semplici raffinati dall'indice glicemico elevato ma soprattutto, andrebbe valutato il carico glicemico di ciascun alimento e quello complessivo dei pasti. La prevenzione include l'assunzione di cibi ricchi di fibre e come sempre l'attività fisica.

Fabbisogno proteico

Alle accresciute richieste d'energia è associato un maggiore fabbisogno di alcuni nutrienti, di proteine in particolare, essendo alta la necessità di amminoacidi da parte del feto, sia durante la fase di organogenesi che di crescita, ma anche per il deposito di tessuti materni (tessuto adiposo, tessuto mammario, utero) che avviene dal 1° al 6° mese.

L'assunzione raccomandata è di 6 grammi in più al giorno (dalla prima all'ultima settimana) rispetto ai fabbisogni indicati dai LARN:

Categoria Età (anni) Peso (kg) Proteine (g)
Donne 18-50 56 53
Gestanti 18-50 56 59

Va tenuto conto che per soddisfare le nuove necessità è indispensabile non soltanto prediligere gli alimenti a elevato contenuto proteico ma soprattutto riconoscere quelli dalla maggiore bontà proteica, poiché la nuova condizione è accompagnata, a partire dal settimo mese, da un maggiore degradazione proteica per via del quadro ormonale dal profilo catabolico.

La qualità di una proteina edibile può essere valutata con metodi differenti: il valore biologico (VB), il rapporto di efficienza proteica (REP), la digeribilità (D), l'amminoacido limitante e l'indice proteico chimico (IPC).

Uno dei sistemi maggiormente "accreditati" per valutare la bontà proteica risulta essere l'indice PPCAAS (Protein Digestibility Corrected Amino Acid Score o Valore degli Amminoacidi Corretto per la Digeribilità delle Proteine) accolto dalla Fao/WHO nel 1993. Con questo sistema ciascun alimento è analizzato sotto tre aspetti: il contenuto di amminoacidi essenziali delle proteine isolate dalla fonte alimentare, la digeribilità delle suddette e la capacità di sopperire al fabbisogno di amminoacidi di bambini di età compresa tra i 2 e i 5 anni d'età.

Il valore dell'indice può variare da un minimo di 0 a un massimo di 1 e permette di confrontare, sotto il profilo proteico, la qualità di diversi alimenti. Il più alto punteggio è attribuito all'albume, alle proteine del latte e alle proteine della soia, ciò significa che in seguito alla digestione l'unità proteica fornisce il 100% degli amminoacidi essenziali richiesti.

Alimento PDCAAS
Albume 1,0
Caseina 1,0
Siero 1,0
Soia 1,0
Carne di manzo 0,92
Ceci 0,78
Frutta 0,76
Verdura 0,73
Cereali 0,59
Arachidi 0,52

Da queste semplici considerazioni emerge che gli alimenti maggiormente raccomandabili sono le uova, il latte e i suoi derivati, seguiti da carni magre e dai cereali. In merito ai legumi, pur essendo ricchi di proteine nobili, sono in parte sconsigliabili in gravidanza poiché possono dar luogo a fenomeni di meteorismo.

Anche il consumo di soia richiede moderazione: quest'alimento è ricco di fitoestrogeni, più precisamente d'isoflavoni.

I fitoestrogeni sono sostanze di origine vegetale che inducono risposte biologiche comportandosi come gli estrogeni (ormoni femminili) poiché capaci di legarsi ai recettori di questi ultimi. Per questo motivo, se pur caratterizzati da comprovate proprietà antiossidanti e antitumorali, sono oggetto d'intenso studio, atto a dimostrare tra i potenziali effetti sistemici anche quelli favorenti la crescita di linee cellulari tumorali (sviluppo di tumori alla mammella estrogeno-dipendenti) e il ritardo dello sviluppo sessuale fetale.

È comprovato che gli isoflavoni della soia e i derivati alimentari della soia possano attraversare la barriera placentare [4] e permanere più a lungo dal lato fetale rispetto a quello materno; è stata riscontrata inoltre una correlazione tra l'esposizione prenatale a questi composti e malformazioni genitali congenite [5] ed è per questo che saranno necessari studi futuri per avere indicazioni dettagliate sui livelli di assunzione.

Additivi

Ulteriore attenzione andrebbe dedicata agli amminoacidi acido aspartico e acido glutammico; questi due amminoacidi agiscono da neurotrasmettitori nel sistema nervoso centrale in quanto impegnati nella trasmissione nervosa svolgendo una funzione di tipo eccitatorio.

Essendo neurotrasmettitori possono determinare fenomeni di tossicità neuronale conosciuti con il nome di eccitotossicità. Ad essi è persino imputata la causa di processi degenerativi del sistema nervoso come il morbo d'Alzheimer e di Parkinson, la Corea di Huntington e, nello sviluppo pre-natale, la causa di ritardo mentale.

L'acido glutammico rappresenta uno degli amminoacidi più rappresentati negli alimenti, sia nella struttura delle proteine sia in forma libera; è utilizzato anche nell'industria alimentare sotto forma di sali tra cui il più diffuso è il suo sale sodico, il glutammato monosodico (MSG), un potente esaltatore di sapidità.

I sali di glutammato si dissociano nelle soluzioni acquose in acido glutammico e pertanto il potenziale effetto sarà il medesimo a prescindere dalla forma originale; inoltre, sia l'acido glutammico libero sia quello legato a proteine, sia l'acido glutammico derivante dagli additivi, vengono metabolizzati allo stesso modo a livello intestinale (è quindi possibile indicarli tutti con il nome di un unico composto, GLU).

A ciò si aggiunge la scarsa capacità da parte del GLU di raggiungere il sistema nervoso centrale qualora non siano presenti lesioni a carico della barriera che separa il sistema nervoso dalla circolazione sanguigna (barriera emato-encefalica).

La placenta possiede sistemi di trasporto per il GLU che fanno sì che una volta assorbito venga in parte conservato per la sintesi proteica anziché essere inviato dalla circolazione materna a quella fetale, in questo modo il feto è protetto dai possibili effetti tossici [6].

A conferma di ciò sono stati condotti studi che hanno previsto la sperimentazione animale e che hanno dimostrato che anche alte dosi di GLU (fino a 0,4 g per kg di peso corporeo) non sono in grado di indurre significative variazioni della concentrazione di questo composto a livello del plasma fetale [7].

Fino ad oggi il Comitato Scientifico dell'Alimentazione Umana della Commissione Europea (Scientific Commitee on Food, SCF) non ha ritenuto necessario specificare l'ADI (Introito Giornaliero Accettabile o Accettable Daily Intake) per l'acido glutammico e i suoi derivati. Per questo motivo, mentre continuano a essere espressi consensi scientifici sul loro utilizzo, sussiste la mancanza d'indicazioni nutrizionali ufficiali a tal riguardo e per ora, gli unici strumenti preventivi sono l'informazione e la moderazione.

Le sigle secondo il codice europeo (codice E) che identificano l'acido glutammico e i suoi sali, approvati dall'SCF, sono sotto riportate e possono risultare utili per identificarli consultando le etichette nutrizionali delle confezioni.

Codice numerico Nome
E620 Acido glutammico
E621 Glutammato monosodico
E622 Glutammato monopotassico
E623 Glutammato di calcio
E624 Glutammato monoammonico
E625 Di-glutammato di magnesio

Per l'acido glutammico presente naturalmente negli alimenti può essere utile considerare le tabelle di composizione e limitare quelli più ricchi. Tra questi troviamo: proteine della soia, albume, merluzzo sotto sale, lupini e parmigiano, latte in polvere. L'acido glutammico è presente oltre che negli alimenti proteici anche in tè verde e succo di pomodoro e, sottoforma di glutammato monosodico, in dadi, surgelati, preparati per zuppe e per salse, nelle carni in scatola e nelle preparazioni dei fast-food e della cucina asiatica.

Fabbisogno lipidico

Il fabbisogno lipidico in gravidanza non è diverso da una donna non gestante e dovrebbe fornire circa il 25/30% delle calorie totali giornaliere. Rimane invariata anche la ripartizione della quota lipidica giornaliera: fino al 7/10% delle calorie totali dovrebbe essere fornito dai lipidi saturi, fino al 20% dai lipidi monoinsaturi e circa il 7% da quelli polinsaturi. Tra questi ultimi, l'1-2% circa delle calorie totali dovrebbe essere rappresentato dagli acidi grassi essenziali omega-6 e lo 0,2-0,5% circa dagli acidi grassi essenziali omega-3.

Gli acidi grassi appartenenti alla serie omega-6 e alla serie omega-3 comprendono gli acidi grassi definiti essenziali poiché non possono essere sintetizzati a partire da precursori ma devono essere introdotti con l'alimentazione. Sono essenziali l'acido linoleico (omega-6) e l'acido alfa-linolenico della serie omega-3 dai quali sono prodotti gli acidi grassi della stessa serie grazie al medesimo enzima, la delta 6 desaturasi, che però predilige l'acido alfa-linolenico come substrato. Per questo motivo il rapporto omega-6/omega-3 consigliato è di 5 a 1.

Il fabbisogno di acido grassi essenziali delle gestanti non è fondamentalmente diverso da quello delle donne adulte com'è riscontrabile dalle tabelle LARN:

Categoria Età (anni) Peso (kg) Omega-6 Omega-3
% energia g/giorno % energia g/giorno
Donne 18-50 56 2 4,5 0,5 1
Gestanti 18-50 56 ≈2 5 0,5 1

Nonostante i livelli di assunzione raccomandati rimangano invariati, la disponibilità di acidi grassi essenziali secondo le quantità raccomandate resta indispensabile per l'organogenesi e la crescita del neonato. In particolare l'acido arachidonico, un omega-6, e l'acido docosaesanoico (DHA) appartenente alla serie omega-3, sono fondamentali per lo sviluppo del cervello e della retina.

Si tratta di due acidi grassi condizionatamente essenziali poiché, qualora presenti l'acido linoleico e l'acido alfa-linolenico nella dieta, possono essere sintetizzati, rispettivamente, a partire da essi.

Il DHA è presente in modo importante sulla membrana dei segmenti esterni dei bastoncelli della retina (neuroni responsabili della visione notturna) e a livello cerebrale, dove media a diversi livelli il fenomeno della neurotrasmissione. Il suo massimo accumulo avviene proprio durante la vita intrauterina ed è per questo motivo che una carenza in tale fase si rifletterà sullo sviluppo del sistema nervoso centrale e su quello dell'apparato visivo. Il DHA è contenuto in elevate quantità nell'olio di pesce (salmone, sardina, aringa e fegato di merluzzo) e pesce (sgombro e salmone).

Diverse ricerche hanno comprovato l'importanza degli acidi grassi omega-3, del DHA in particolare, per il regime alimentare delle gestanti. Il "Danish National Birth Cohort" (2007) [8] è uno studio prospettico che è stato condotto su donne precedentemente in gravidanza e sui propri figli.

Alle donne sottoposte al test è stato fornito un questionario valutante la frequenza del consumo di pesce, la durata dell'allattamento al seno e diversi aspetti indicativi dello sviluppo intellettivo del bambino. I risultati dell'indagine sono stati tali da indicare una correlazione tra consumo di pesce, dunque tra la presenza di DHA nella dieta, e le capacità cognitive.

L'importanza del DHA durante la gestazione è stata riconosciuta anche in Italia tanto da rendere necessaria una revisione dei LARN (prevista per l'Ottobre 2012) e la distinzione tra il DHA e gli altri omega-3: il livello minimo raccomandato attualmente da parte della SINU è di 200 mg al giorno (ottenibili ad esempio con 100 grammi di cernia o trota).

Gli alimenti da evitare

Oltre ad assicurare i fabbisogni nutrizionali ed energetici come descritto in questo articolo, durante la gravidanza è altresì importante limitare o evitare una serie di alimenti che possono essere pericolosi o dannosi per il feto. Per maggiori informazioni vedere l'articolo sugli alimenti da evitare in gravidanza.

A cura di

Dott.ssa Giovanna Codella

Per approfondire

Per chi desidera approfondire ulteriormente consigliamo le seguenti letture:

Bibliografia

  1. Fraser A, et al.
    Associations of gestational weight gain with maternal body mass index, waist circumference, and blood pressure measured 16 y after pregnancy: the Avon Longitudinal Study of Parents and Children (ALSPAC).
    Am J Clin Nutr. 2011; 93(6): 1285-92.
  2. Rhodes ET, et al.
    Effects of a low-glycemic load diet in overweight and obese pregnant women: a pilot randomized controlled trial.
    Am J Clin Nutr. 2010; 92(6):1306-15.
  3. Yazdy MM, Mitchell AA, Werler MM.
    Maternal dietary glycemic intake and the risk of neural tube defects.
    Am J Epidemiol. 2010; 171(4):407-414.
  4. Todaka E et al.
    Fetal exposure to phytoestrogens-the difference in phytoestrogen status between mother and fetus.
    Environ Res. 2005; 99(2):195-203.
  5. Jefferson WN, Williams CJ.
    Circulating levels of genistein in the neonate, apart from dose and route, predict future adverse female reproductive outcomes.
    Reprod. Toxicol. 31(3):272-9
  6. Arienti G.
    Le basi molecolari della Nutrizione.
    Piccin. 2003; 685-687.
  7. Beyreuther K et al.
    Consensus meeting: monosodium glutamate - an update.
    Eur J Clin Nutr. 2007; 61(3): 304-13.
  8. Oken E et al.
    Associations of maternal fish intake during pregnancy and breastfeeding duration with attainment of developmental milestones in early childhood: a study from the Danish National Birth Cohort.
    Am J Clin Nutr. 2008; 88 (3):789-96.

Indicazioni mediche

Le informazioni pubblicate su Dietabit.it hanno carattere esclusivamente divulgativo e non devono essere considerate come consulenze né prescrizioni di tipo medico o di altra natura. Prima di prendere decisioni riguardanti la propria salute, compresa quella di variare il proprio regime alimentare, è indispensabile consultare, di persona, il proprio medico.