Le principali modifiche del metabolismo in gravidanza, frutto delle spiccate variazioni endocrine a cui si assiste nel corso della gestazione, sono finalizzate ad una maggiore disponibilità di nutrienti per il feto ma comportano anche una ridotta sensibilità da parte dell'organismo nei confronti dell'ormone insulina. Questa molecola è prodotta e secreta dalle cellule beta del pancreas ed è tra le principali molecole deputate al controllo dei livelli di glucosio nel sangue in risposta ad un aumento della glicemia (vedere l'articolo sulla regolazione della glicemia).
Numerosi segnalatori endocrini accompagnano lo sviluppo dell'unità feto-placentare e sono prodotti a livello della placenta stessa: gonadotropina corionica umana, progesterone, cortisolo, lattogeno placentare e prolattina. Tali mediatori sono responsabili di una condizione di comprovata insulino-resistenza da parte dei tessuti che rappresentano "il bersaglio" dell'azione dell'ormone (fegato, muscolo scheletrico e cardiaco, tessuto adiposo).
In una gravidanza fisiologica, la glicemia basale (a digiuno o post-assorbitiva) rimane intorno a valori piuttosto costanti (inferiori a 100 mg/dl o a 5,6 mmol/l misurati su plasma venoso) per tutta la sua durata poiché le condizioni di intolleranza al glucosio si manifestano solo quando un'aumentata produzione di insulina da parte del pancreas (iperinsulinemia compensatoria) non è più in grado di contrastare la perdita di sensibilità alla stessa.
La resistenza all'insulina che accompagna la gravidanza generalmente rimane fisiologica ma, con una prevalenza del 3-10%, si evolve in una condizione denominata diabete gestazionale (GDM) che condivide con il diabete mellito di tipo 2 (DMT2) le tipiche alterazioni molecolari e l'evoluzione della patogenesi comprendente la disfunzione beta-cellulare.
La resistenza insulinica si espleta in entrambe le forme di diabete mediante la riduzione del numero di proteine recettoriali esposte dalle cellule del fegato (epatociti), dal tessuto muscolare scheletrico (miociti) e dal tessuto adiposo (adipociti), di conseguenza risultano alterati anche i meccanismi di segnalazione successivi all'interazione dell'ormone con il recettore; in particolar modo si assiste alla diminuzione del numero di trasportatori di glucosio (GLUT4) sulla membrana delle cellule muscolari e del tessuto adiposo, alterazione che determina l'incapacità dell'organismo di assorbire e di ridurre il glucosio circolante nel sangue per ripristinare i livelli normoglicemici.
Se non trattato, il diabete gestazionale produce una maggiore probabilità di sviluppare DMT2 nei cinque anni successivi alla gravidanza ma rappresenta anche un fattore di rischio immediato per la salute sia della madre sia del bambino. Sono infatti più alte le possibilità di aborto spontaneo, distocia di spalla e altre complicanze tali da richiedere il taglio cesareo; si riscontrano inoltre più alti livelli di morbilità neonatale conseguenti ad un'iperglicemia indotta a sua volta dall'eccesso di glucosio materno (macrosomia, ipocalcemia, ipoglicemia).
Gli standard italiani per la diagnosi [1] si basano sulle nuove procedure di screening proposte dalla AMD (Associazione medici diabetologi) e dalla SID (Società italiana di diabetologia). Il criterio suggerito si basa su una determinazione della glicemia plasmatica (preferibilmente su sangue venoso) nella fase iniziale della gravidanza, da eseguire in corrispondenza della prima visita ginecologica dal momento del concepimento. Tale esame ha lo scopo di identificare i casi di diabete pregresso.
In assenza di sintomi manifesti (poliuria e calo ponderale) la condizione di diabete mellito di tipo 2 è individuata, al primo controllo, da un valore della glicemia a digiuno superiore o uguale a 126 mg/dl (riscontrato in due diverse occasioni e preferibilmente rilevato intorno alle 8 del mattino), oppure da un valore della glicemia plasmatica a seguito di un carico orale di glucosio da 75 g (Oral Glucose Tolerance Test, OGTT) superiore o uguale a 200 mg/dl, anch'esso riscontrato in almeno due esami distinti.
Altro criterio diagnostico sono i livelli di emoglobina glicata (Hab1c) che non devono risultare superiori al 6,5%. Tale indice risulta rappresentativo della glicemia per un periodo piuttosto lungo (2-3 mesi) e non solo di quella del momento del prelievo come per gli altri due metodi. L'Hab1c rappresenta un metodo maggiormente raccomandabile [2] in quanto non risente delle variazioni dovute allo stress da prelievo, tuttavia necessita accurate standardizzazioni (allineate con il metodo IFCC se espresse in %, DCCT se espresse in mmol/l) e va comunque effettuato non oltre la 12a settimana.
In caso di sintomi della malattia, invece, il diabete manifesto può essere diagnosticato anche dopo un unico riscontro di glicemia plasmatica superiore a 200 mg/dl realizzato in qualunque momento della giornata e indipendentemente dall'introduzione di alimenti.
Occorre considerare, inoltre, eventuali alterazioni minori della tolleranza al glucosio che possono rappresentare una condizione pre-diabetica: l'alterata glicemia a digiuno (Impaired Fasting Glucose, IFG) data da un valore della glicemia a digiuno compresa tra 100 e 125 mg/dl e la ridotta tolleranza ai carboidrati (Impaired Glucose Tolerance, IGT) che consiste in un valore della glicemia compreso tra i 140-199 mg/dl dopo due ore da un carico orale di glucosio.
Valori soglia utilizzati per la diagnosi di DMT2:
Test utilizzato | Valori in mg/dl su plasma venoso | Valori in mmol/l su plasma venoso |
Glicemia a digiuno | ≥126 | 7,0 |
OGTT | ≥200 | 11,1 |
HAb1c | ≥6,5% |
Criteri diagnostici per le condizioni di diversa tolleranza ai glucidi:
Grado di tolleranza |
Valori in mg/dl su plasma venoso | Valori in mmol/l su plasma venoso |
Normotolleranza Glicemia a digiuno |
<100 | <5,6 |
IFG Glicemia a digiuno |
100-125 | 5,6-6,9 |
IGT Glicemia dopo due ore da OGTT |
140-199 | 7,8-11,0 |
Qualunque sia il criterio seguito per individuare i casi di DMT2, nell'eventualità di superamento del valore soglia indicato, si procede immediatamente con una terapia diretta dal medico generico e da un team diabetologico che comprende anche il proprio ginecologo. Secondo lo standard italiano è previsto, oltre ai dovuti adattamenti della dieta e dello stile di vita, l'impiego di farmaci (ipoglicemizzanti e insulino-sensibilizzanti) e la somministrazione più o meno intensiva dell'insulina.
Il momento dello screening deve essere pianificato secondo il livello di rischio che viene stabilito in base all'esito del primo controllo. Andrà eseguito precocemente (tra la 16a e la 18a settimana) per la fascia ritenuta ad alto rischio e più tardivamente (tra la 24a e la 28a) per quella considerata a rischio intermedio e basso. Per quest'ultima categoria, definita da un'età inferiore ai 25 anni, IMC pre-gravidico inferiore a 25 kg/m2, assenza di familiarità di primo grado per il DMT2 e di complicazioni in un'eventuale gravidanza precedente, sottoporsi alla procedura non è obbligatorio.
Livello di rischio | Età gestazionale consigliata per lo screening |
Alto (in presenza di una o più condizioni)
|
16a- 18a settimana |
Basso (in presenza di tutte le condizioni)
|
24a- 28a settimana |
Lo screening si basa dapprima sulla misura della glicemia a digiuno: se questa supera il valore pari a 92 mg/dl si afferma la condizione conclamata di diabete gestazionale. Se risulta inferiore o uguale a 92 mg/dl si esegue un test orale di tolleranza al glucosio somministrando 75 g di glucosio in 300 ml d'acqua e procedendo con prelievi ematici dopo un'ora e dopo due ore dal momento dell'assunzione di glucosio. Il GDM è diagnosticato in presenza di anche una sola deviazione dagli intervalli di riferimento.
Valori soglia utilizzati per la diagnosi di GDM:
Glicemia |
Valori in mg/dl su plasma venoso |
Valori in mmol/l su plasma venoso |
Digiuno | ≥92 | ≥5,1 |
Dopo un'ora da OGTT | ≥180 | ≥10 |
Dopo due ore da OGTT | ≥153 | ≥8,5 |
Le donne per le quali è stato preannunciato un rischio elevato nella fase iniziale della gestazione e che pertanto hanno eseguito l'OGTT precocemente, anche in caso di valori al di sotto di quelli soglia, devono sottoporsi nuovamente allo screening intorno alla 28a settimana. Infine è necessario, per le donne cui è stato diagnosticato il GDM durante la gravidanza, effettuare nuovamente l'OGTT dopo sei mesi dal momento del parto.
Le alterazioni a carico del metabolismo epatico e del tessuto adiposo a fronte della condizione di resistenza all'insulina determinano nella gestante con GDM uno stato di dislipidemia: si riscontrano infatti più elevati livelli di trigliceridi nel sangue e valori inferiori di colesterolo HDL (vedere la pagina sul colesterolo). Gli acidi grassi derivati dai trigliceridi attraversano facilmente la placenta e possono determinare macrosomia fetale [3]. A ciò si aggiunge il passaggio transplacentare dell'eccesso di glucosio nel sangue materno, responsabile di iperglicemia fetale ed eccessivo sviluppo dei tessuti insulino-sensibili nel bambino, crescita del feto eccessiva ed infine ipoglicemia dopo la nascita come conseguenza dell'interruzione dell'unità feto placentare.
Per i motivi suddetti qualsiasi terapia si basa innanzitutto sul controllo dei livelli glicemici per i quali sono stati fissati valori di riferimento prossimi alla condizione normoglicemica.
Le raccomandazioni accettate dalle principali società italiane per il diabete sono quelle stabilite nel corso dell'IV Workshop-Conference sul GDM:
Glicemia | Valori in mg/dl su plasma venoso |
A digiuno | ≤ 105 |
Dopo un'ora dal pasto | ≤ 155 |
Dopo due ore dal pasto | ≤ 130 |
Entro i primi due giorni dalla diagnosi di diabete gestazionale dovrà essere stabilito un piano nutrizionale per il mantenimento della glicemia ma oltre a ciò dovrà essere impostato un piano terapeutico che prevede:
Particolare ruolo è rivestito dall'automonitoraggio che risulta indispensabile sia per il mantenimento degli obiettivi glicemici sia per il controllo del rischio di ipoglicemia risultante dalla terapia farmacologica. Se per le condizioni di diabete non legate alla gestazione tale metodo non è stato ufficialmente comprovato, per le pazienti affette da diabete gestazionale l'automonitoraggio risulta fondamentale per effettuare un controllo della glicemia post-prandiale e per stabilire il momento dell'inizio di un'eventuale terapia farmacologica.
Tuttavia, la frequenza di tale pratica non può essere stabilita a priori ma va adattata, da parte del diabetologo, a seconda della frequenza dei sintomi della patologia, dei fenomeni ipoglicemici notturni e post-assorbitivi, delle variazioni concordate della terapia insulinica.
Nel GDM, come nel DMT2 l'educazione terapeutica è centrata sul controllo ponderale e nello svolgimento dell'attività fisica in modo continuativo (circa trenta minuti al giorno) che si è rivelato efficace nel checkup glicemico e nel contenere altri parametri della sindrome metabolica. Premettendo che il livello di attività fisica richiede la supervisione da parte del proprio ginecologo, occorre precisare che risulta necessario monitorare la glicemia sia prima che dopo l'esercizio fisico ed eventualmente ricorrere ad un'integrazione glicidica nel caso di una terapia ipoglicemizzante.
Esattamente come nella gravidanza fisiologica l'aumento di peso in gravidanza è correlato all'IMC pre-gravidico (vedere l'articolo sul regime dietetico in gravidanza), con la particolare raccomandazione per le donne obese (IMC>30 kg/m2) di non superare i 7 kg di acquisto ponderale complessivi. Oltretutto, nelle donne diabetiche gravemente obese (IMC >35 kg/m2) non è stato riscontrato aumento della probabilità di dare alla luce bambini sottopeso qualora non vi siano incrementi ponderali in gravidanza, per cui si consiglia in questo caso di non aumentare il proprio peso nel corso della gestazione [4].
Molte associazioni per il diabete sono d'accordo sul fatto che la quota calorica giornaliera destinata ai carboidrati non debba superare né essere inferiore al 45% e sottoforma di carboidrati a basso indice glicemico, con lo scopo di ridurre la glicemia post-prandiale e di limitare anche la quota lipidica.
Nel corso del già citato Workshop-Conference per il GDM del 2005, è stata stabilita la quantità di carboidrati, proteine e fibre ottimali in gravidanza, risultati rispettivamente pari a 175 grammi giornalieri (di cui 140 per il fabbisogno materno e 35 per il tessuto cerebrale fetale), 1,1 g/kg di peso corporeo al giorno e 28 grammi al giorno; è stata fissata anche la ripartizione calorica giornaliera ideale per il contenimento del diabete gravidico e la distribuzione energetica giornaliera tra i diversi pasti:
Raccomandazioni per il GDM | |
Carboidrati | 175 g/giorno |
Proteine | 1,1 g/kg di peso corporeo/giorno |
Fibre | 28 g/giorno |
Come è facile notare, la quota calorica destinata alla colazione è piuttosto esigua (10-15%) e questo per controllare l'iperglicemia che si manifesta soventemente al mattino nelle pazienti con GDM, inoltre essa dovrebbe essere costituita prevalentemente da carboidrati complessi e priva di zuccheri semplici, questi ultimi contenuti ad esempio nei succhi di frutta e nei cereali raffinati. Per questo motivo, risulta necessario uno spuntino a metà mattinata comprendente sia carboidrati sia proteine. Mentre al pranzo va destinato il 20-30% dell'introito calorico giornaliero, alla cena spetta il 30-40%.
Come si potrà notare dalla ripartizione calorica in condizioni fisiologiche (vedere l'articolo sulla colazione) e non gestazionali, ora il fabbisogno energetico è ripartito in tre spuntini ed è leggermente inferiore nella prima parte della giornata quando la resistenza insulinica è più marcata.
Eccezione fatta per le pazienti con GDM obese per le quali è consigliabile un solo spuntino, la suddivisione dei pasti ideale si esplica dunque in ben tre spuntini giornalieri (5-10%), la cui consumazione permette di controllare nausea e vomito e le fluttuazioni della glicemia che si verificano soprattutto nel caso di somministrazione insulinica.
Liste di equivalenti
Il metodo della lista di scambio si basa sulla suddivisione degli alimenti in gruppi (farinacei, frutta, carne, latte e derivati, verdure e alimenti vari) e dalla possibilità di sostituire un alimento con un altro dello stesso gruppo a seconda delle proprie esigenze.
Per poter effettuare la sostituzione occorre sapere quale quantità di un cibo (porzione in grammi) determina la stessa quantità di carboidrati di un altro.
In questo modo si può facilmente tenere sotto controllo il carico glicemico di ogni pasto (che come già detto è influenzato principalmente dal contenuto di carboidrati) e raggiungere i 175 g giornalieri auspicati.
Esempio di lista di equivalenti considerando i farinacei (vedi tabelle dei valori nutrizionali di pane e prodotti da forno). Una porzione da 80 g di pane bianco contiene 34,8 g di carboidrati ed è sostituibile con:
L'aumento della glicemia post-prandiale è dovuta principalmente alla quantità di carboidrati presente nella singola consumazione, infatti solo il 40-60% delle proteine edibili e il 10% dei lipidi è convertito in glucosio dopo la loro digestione.
Per questo motivo, la risposta glicemica e la secrezione d'insulina resta comunque strettamente legata all'indice glicemico dei carboidrati ingeriti e soprattutto al carico glicemico (la differenza tra i due è spiegata nell'articolo su indice e carico glicemico).
E' dunque importante mantenere costante il contenuto di carboidrati ad ogni singolo pasto pur conservando un'alimentazione variata. A tal scopo, la pianificazione di un piano dietetico da parte del proprio diabetologo si può avvalere delle cosiddette liste di scambio o liste di equivalenti: la gestante dovrà imparare a scegliere gli alimenti di uno stesso gruppo (ad esempio cereali) in base all'indice glicemico e a stabilire la quantità (porzione espressa in grammi) che fornisce la stessa quota di carboidrati, in modo da poterli alternare secondo il gusto individuale e la propria tollerabilità.
Dott.ssa Giovanna Codella
Biologa Nutrizionista
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